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Licodia Eubea
Esondazione fiume Dirillo, confermata la sentenza
La Regione dovrà pagare, "bocciati" gli altri ricorsi
L'assessorato del Territorio e dell'Ambiente e quello delle Infrastrutture e della Mobilità dovranno versare 26mila euro a un imprenditore agricolo. Escluse colpe per la società che gestisce la diga.
A distanza di oltre 6 anni, le conseguenze del ciclone Athos si fanno ancora sentire. Le piogge torrenziali che tra il 9 e l'11 marzo del 2012 misero in ginocchio la Sicilia, hanno avuto nei giorni scorsi un risvolto giudiziario che costringerà la Regione a versare nelle tasche di un imprenditore agricolo 26 mila euro di risarcimento, oltre alle spese legali.
Foto n. 2
Il Tribunale delle Acque pubbliche di Roma ha infatti confermato la sentenza emessa in primo grado dall'omologo organo palermitano nei confronti di due assessorati regionali, quello del Territorio e dell'Ambiente e quello delle Infrastrutture e della Mobilità, ritenuti responsabili dei danni alle produzioni agricole legati dall'esondazione del fiume Dirillo. In occasione dell'ondata di maltempo che investì l'Isola, infatti, dalla diga Ragoleto di Licodia Eubea, piena fin quasi agli argini, era stata fatta defluire una grande quantità d'acqua, che si era riversata nelle campagne, non potendo seguire il corso naturale del Dirillo, da anni pieno di detriti a causa della mancata manutenzione. Ad avere la peggio erano stati i proprietari dei terreni colpiti dall'esondazione nelle province di Catania, Ragusa e Caltanissetta, ai quali quella “bomba” d'acqua era costata milioni di euro di danni.
Un produttore di uva da tavola di Licodia Eubea, la cui vigna si trova a due chilometri dal muraglione dell'invaso, aveva quindi fatto ricorso al Tribunale delle Acque di Palermo, che aveva accolto le tesi dell'avv. Luca Falcone e attribuito alla Regione le responsabilità della mancata manutenzione e alla società Raffinerie di Gela (che gestisce la diga) quella della repentina manovra di svuotamento. La società del gruppo Eni è però stata assolta in appello, perché secondo i giudici romani la stessa avrebbe rispettato le prescrizioni del piano di sicurezza sulle manovre da effettuare in caso di situazioni meteorologiche avverse con rischio idrogeologico, pur riconoscendo che il piano, risalente al 2000, non è idoneo alla corretta prevenzione dei rischi. In primo grado, invece, era già stato assolto l'operaio chiamato in causa, che non aveva «alcun ruolo dirigenziale o decisionale, né era responsabile della manovra delle chiuse».
Sono invece stati respinti dal tribunale palermitano le altre decine di ricorsi presentati per analoghi motivi da imprenditori sui cui terreni, per via della maggiore distanza, avrebbe influito di più il temporale rispetto all'esondazione. La sentenza del Tribunale delle Acque pubbliche di Roma è appellabile in Cassazione, ma immediatamente esecutiva, quindi la Regione dovrà pagare il risarcimento.
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13/10/2018 | 11266 letture | 0 commenti
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