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'U dutturi Costa. L'uomo, la leggenda e le spalle
Il busto bronzeo, fatto erigere nel 1952 in occasione del decennale della sua morte, domina la piazza, quella più importante, il forum Bidinensis, luogo dei comizi dei più diversi personaggi politici che nello scorrere del tempo hanno interessato ed interesseranno a breve il nostro paese. Il nostro paese, quel posto particolare del mondo in cui siamo cresciuti, in cui tutti teniamo nascosti i nostri ricordi più intimi, quelli belli e meno belli, quelle strade nere basaltiche, quei giallognoli monumenti barocchi, quelle strane processioni di simulacri religiosi, quell'Addolorata che sale e scende dalla scalazza contesa tra vitisi e giuvannisi, quella sagra della ricotta che suona la tarantella siciliana con le sue sfilate di carretti decorati, quella fiera dei morti ô cianu ô ritu e quelle esperienze d'amore e odio che contraddistinguono un sentimento puro che, volente o nolente, è incancellabile perché ha segnato il nostro modo di essere e sentirci partecipi di una comunità.
[Foto: mezzobusto Costa]
IL MEZZOBUSTO Il monumento dedicato a Costa in piazza Umberto I.
Vizzini, oserei dire, è vissuta dai suoi abitanti in maniera astratta e non reale, poiché ognuno di noi ne ha nel cuore una propria, unica e personale concezione. Esiste la Vizzini magica e dei misteri, esiste la Vizzini invidiosa, del simmacco e dell'infamità, esiste la Vizzini allitturata degli amanti del Verga, esiste anche la Vizzini "matrigna" dei malinconici e dei leopardiani, forse un po' quella di tanti giovani e meno giovani che si vedono qui relegati e senza via d'uscita, ma io in questa sede vorrei permettermi di soffermarmi su quella che più interessò ed animò il personaggio in questione, ovvero la Vizzini patria. E forse sarebbe anche giusto in questo periodo lasciarsi trascinare da quei sentimenti ed ideali un po' romantici che furono dell'illustre uomo di scienza Gesualdo Costa, i quali si curò di tramandarceli nei versi d'un suo inno l'avvocato Nunzio La Rocca per non acconsentirne l'oblio:
«Costa che ha dato ai morenti la vita,
che ognor ha lenito miserie e dolor
con nobile gesto fratelli ci invita
pel ben di Vizzini gagliardi a lottar».
Avete capito bene: abbiamo inconsapevolmente aperto un buco temporale che mette in comunicazione passato e futuro ed abbiamo permesso ad uno dei nostri più illustri
[Foto: Gesualdo Costa]
IN RICORDO DI COSTA
Il mezzobusto con dedica.
compaesani di sussurrarci delle parole di speranza nel presente. Il dottor Costa ci invita senza paura a combattere tutti assieme per il bene di Vizzini, solo per questo, non per incrementare e garantire interessi personali derivanti dalla politica o per allusivi ruoli di un prestigio ipocrita da consumare a discapito dei nostri compaesani, lui, che si prodigò per il prossimo e la collettività, che fu grande tra i grandi, umile tra gli umili e fu con la sua esistenza arte, scienza e missione, parafrasando una dedica che gli fu fatta, estrapolata dal libretto di trenta pagine sulla sua vita che su incarico del Comune scrisse un altro illustre vizzinese, il professor Giuseppe Cosentino.
Eppure, nonostante il suo amor patrio, Gesualdo Costa dà senza badarci le spalle al palchetto dei comizi, se ne disinteressa quasi a voler farsi beffe di chi parla, e guarda direttamente verso il Palazzo Comunale, come per stare ad intendere che non è importante quello che si dice e si dirà al microfono davanti ad una folla di parenti, amici e sostenitori che applaudono ed acclamano, ma che è importante quello che poi effettivamente si farà dentro quel Palazzo, il quale egli mira con lo sguardo serio di uomo d'un suo tempo, di cui noi ormai dubitiamo persino dell'esistenza e ci appare quasi come un sogno.
Quel busto di bronzo ne avrà viste di scene e di facce negli ultimi sessant'anni, avrà ascoltato i discorsi di migliaia di persone che nei decenni, incuranti della sua presenza, si sono sedute in quelle panchine che circondano in quadrato quel monumento e chissà quante storie sono entrate nella sua testa e quali idee si sarà fatto dei suoi compaesani e quante volte ci avrà deriso e lo avremo deluso.

Su di lui esistono tante storie, si dice che in un solo giorno fu capace di operare ben sette ernie e che nel corso della sua vita ne abbia operate circa quindicimila, sempre nel rispetto di quel giuramento d'Ippocrate che imponeva la formula: «In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi».
Costa rese famosa Vizzini con la sua presenza e fece accorrere infermi dai paesi vicini e persino da città come Catania, fu addirittura eletto per la sua fama deputato nazionale e si impegnò per portare l'acqua potabile nei comuni del Sud Italia, di stabilire un'assicurazione contro la grandine che distruggeva frutteti, uliveti e agrumeti, di prendere provvedimenti per il vaiolo nei comuni della Sicilia, e ci parla ancora oggi chiaro nonostante non sia più tra di noi dal lontano 1942. Un personaggio che fu grande ma si mantenne umile, poiché questo era dentro e non poteva essere diversamente, che non dimenticò il suo popolo e volle con la sua vita nobilitare il suo posto particolare del mondo.

Di personaggi così, lo sappiamo bene, ne nascono, popolanamente parlando, uno ogni mille mai, lo sappiamo perché lo abbiamo constatato a nostre spese con la realtà paesana, ma questi personaggi sono luce ed esempio per chiunque abbia a cuore questa Vizzini, ahimé, dei "vinti". La mia scoperta del dottor Costa, tuttavia, fu quasi casuale, da bambino spesso l'occhio mi era andato a cadere su
[Foto: Gesualdo Costa]
MEDICO E POLITICO
Gesualdo Costa [Foto Lentini].
quel busto, inizialmente pensavo fosse qualche nobile dall'aspetto austero, qualche sindaco imperioso del passato o addirittura una specie di nume tutelare del luogo alla maniera della ninfa Aretusa di Siracusa.
Un giorno però vidi la tomba della sua famiglia nei pressi della chiesetta del cimitero e, incuriosito dal suo fotoritratto, dai lunghi baffi e dai suoi occhi che mi fissavano, domandai a mio padre ingenuamente: «Ma cu' era ssu cristianu?». Lui lo fissò bene e dopo qualche attimo mi disse serioso: «Chissu era 'u dutturi Costa, colui che diede vita ai morenti, chiddu ca varda 'a ciazza». Una presentazione del genere mi lasciava sicuramente spiazzato, ragazzino di 11-12 anni com'ero, e spesso pensavo a quell'uomo dall'aspetto quasi ieratico persino con timore, fino a quando crescendo raccolsi informazioni sulla sua vita quasi leggendaria e sul suo «Tempio della Salute», che gestiva come un sommo sacerdote portando avanti il compito divino che gli aveva assegnato la dea Scienza.
Rimasi affascinato dal caso di quel pover uomo che bevendo dallo Scifo aveva ingoiato senza accorgersene una sanguisuga che rischiava di farlo soffocare e di lui, il nostro Costa, che, senza scomporsi, aveva obbligato l'uomo a fumare un grosso sigaro dei nobili, obbligando così la sanguisuga a cercarsi da sola una via d'uscita. E ancora potrei raccontarvi di quando sentì tossire un contadino che tornava dalla campagna e disse ad alcuni conoscenti che quell'uomo non avrebbe visto la luce del giorno appresso e poi si venne a sapere che veramente l'uomo durante la notte era morto in seguito ad una polmonite fulminante.
Queste e tante altre storie circolano sulla figura eccezionale del medico Gesualdo Costa, forse veramente come lo vedevo da bambino è una specie di nume tutelare di Vizzini ed ancora la sua figura mi appassiona e gli uomini che discutono sulle panche attorno al suo monumento sembrano minuscole formiche ai piedi di un piccolo uomo come tutti noi, che però seppe vivere il proprio tempo da gigante lasciando lustro ai posteri.
[Foto: clinica Costa]
LA «CASA DELLA SALUTE» La clinica di Costa in viale Margherita.
Gesualdo Costa, similmente ai grandi della storia che muiono se ne andò in maniera particolare. Ottaviano Augusto sul letto di morte aveva chiesto agli amici se fosse piaciuta la commedia della sua vita, il nostro compaesano invece, sempre nella sua umiltà, a coloro che gli domandavano come si sentisse in punto di morte rispose pacatamente: «Siamo in attesa!». Si isolò dal mondo in un insolito silenzio e aspettò stoicamente che il suo ultimo paziente, l'alato Thanatos dal cuore di ferro e dalle viscere di bronzo, il quale non cercava cure, venisse per dargli l'estremo saluto ed accompagnarlo forse in quell'iperuranio platonico delle idee pure, dove già da tempo lo aspettava il caro amico ed altro grande vizzinese Giovanni Verga.
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02/03/2012 | 9806 letture | 0 commenti
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