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Terza pagina
Il Verismo incolore: Giovanni Verga e i suoi racconti in bianco e nero
Probabilmente ispirato dalla sua passione per la fotografia, all'epoca in bianco e nero, Giovanni Verga utilizzò con molta parsimonia i colori nei suoi racconti e nei suoi romanzi, anche quando doveva descrivere paesaggi e personaggi. Il risultato a livello stilistico fu un contrasto più spiccato fra personaggi e ambiente, sia naturale che sociale, ed anche maggiore efficacia in termini di impersonalità e distacco etico-emotivo, secondo i principi del Verismo. I racconti del Verga insomma, imitando l'obiettivo fotografico, sembrano proprio anticipare i film neorealisti del secondo dopoguerra.

«Nel vano della finestra s'incorniciano i castagni d'India del viale, verdi sotto l'azzurro immenso - con tutte le tinte verdi della vasta campagna - il verde fresco dei pascoli prima, dove il sole bacia le frondi; più in là l'ombrìa misteriosa dei boschi. Fra i rami che agita il venticello s'intravvede ondeggiante un lembo di cielo, quasi visione di patria lontana. Al muoversi delle foglie le ombre e la luce scorrono e s'inseguono in tutta la distesa frastagliata di verde e di sole come una brezza che vi giunga da orizzonti sconosciuti. E nel folto, invisibili, i passeri garriscono la loro allegra giornata con un fruscìo d'ale fresco e carezzevole anch'esso...».
È un brano questo tratto da un testo di Giovanni Verga, «Il Bastione di Monforte», compreso nella raccolta di novelle Per le vie pubblicata nel 1883. Tuttavia essa non è in realtà una vera e propria novella, poichè non è caratterizzata da alcuna trama, ma si presenta come una semplice carrellata di quadri paesaggistici ambientati al centro della Milano ottocentesca in tutte le ore del giorno e nelle diverse stagioni dell'anno - metafore della quotidianità e delle stagioni della vita medesima. Non è dunque nè una novella, nè tanto meno una novella verista, nonostante - è bene ricordarlo - anche altri racconti verghiani ambientati al di fuori della Sicilia, come ad esempio a Milano, possano dirsi a tutti gli effetti veristi (si vedano ad esempio le novelle «Gelosia» o «In Piazza della Scala», comprese nella medesima raccolta).
«Il Bastione di Monforte» costituisce un'eccezione nel suo genere anche per un altro motivo: contiene parecchi termini relativi ai colori: sei volte viene nominato l'azzurro, sei volte il verde, una volta il rosso. Per un testo di appena un paio di pagine (9.009 caratteri, spazi compresi) ciò costituisce una specie di record se si tien conto del particolare stile dello scrittore. Verga infatti normalmente è estremamente parsimonioso con i colori, sia nelle novelle che nei romanzi veristi. Il rosso, il giallo, il verde ricorrono più che altro nei modi di dire riguardo agli stati d'animo: «rosso di vergogna«, «giallo come un morto», «verde di bile», etc. Al di là di questi, raramente sembrano quasi sfuggire qua e là alla penna del novelliere un azzurro per descrivere il cielo, un verde per gli alberi o i prati, un turchino ad indicare il mare, con pochi altri esempi. Nella vasta collezione di novelle si trovano addirittura anche racconti totalmente privi di qualsiasi nome di colore (al di là del bianco e del nero), come «La chiave d'oro», «Il segno d'amore», «Epopea spicciola», etc.

Naturalmente non mancano nè dettagliate raffigurazioni di paesaggi e ambienti naturali, nè minute descrizioni di personaggi ritratti oltre che fisicamente anche nella loro più intima espressività. Ma in questo si fa ricorso soprattutto ai giochi di luce e ombra, ai chiaroscuri ed ai toni di grigio, cosicchè i quadri che ne risultano sono più simili agli spezzoni dei film in bianco e nero che non alle tradizionali raffigurazioni pittoriche della letteratura precedente: «...La luna doveva essere già alta, dietro il monte, verso Francofonte. Tutta la pianura di Passanitello, allo sbocco della valle, era illuminata da un chiarore d'alba. A poco a poco, al dilagar di quel chiarore, anche nella costa cominciarono a spuntare i covoni raccolti in mucchi, come tanti sassi posti in fila. Degli altri punti neri si movevano per la china, e a seconda del vento giungeva il suono grave e lontano dei campanacci che portava il bestiame grosso, mentre scendeva passo passo verso il torrente. Di tratto in tratto soffiava pure qualche folata di venticello più fresco dalla parte di ponente, e per tutta la lunghezza della valle udivasi lo stormire delle messi ancora in piedi. Nell'aia la bica alta e ancora scura sembrava coronata d'argento, e nell'ombra si accennavano confusamente altri covoni in mucchi; ruminava altro bestiame; un'altra striscia d'argento lunga si posava in cima al tetto del magazzino, che diventava immenso nel buio...» (da: Mastro don Gesualdo); «...La Nedda, appoggiata all'uscio, guardava tristemente i grossi nuvoloni color di piombo che gettavano su di lei le livide tinte del crepuscolo. La giornata era fredda e nebbiosa; le foglie avvizzite si staccavano strisciando lungo i rami, e svolazzavano alquanto prima di andare a cadere sulla terra fangosa, e il rigagnolo s'impantanava in una pozzanghera, dove s'avvoltolavano voluttuosamente dei maiali; le vacche mostravano il muso nero attraverso il cancello che chiudeva la stalla, e guardavano la pioggia che cadeva con occhio malinconico; i passeri, rannicchiati sotto le tegole della gronda, pigolavano in tono piagnoloso...» (da: Nedda).

In un altro articolo pubblicato precedentemente si è ricondotto questo aspetto letterario alla sua passione fotografica, comune anche agli amici e scrittori a lui più vicini come Capuana e De Roberto. Verga avrebbe preso insomma a modello il realismo e l'obiettività delle riproduzioni fotografiche, ai suoi tempi in bianco e nero, per trasferirlo nel suo originale stile letterario, in maniera da sviluppare i suoi racconti come delle vere e proprie fotografie animate (precorrendo così in un certo senso anche l'idea del cinema realista). Come termine di confronto si può prendere ad esempio un brano della novella «Il maestro dei ragazzi» dove descrive le fisionomie dei due personaggi principali prendendoli da due ritratti fotografici scoloriti: «L'altro ornamento della scuola, sulla larga parete nuda dietro il tavolino, era una cornicetta di carta traforata, opera industre della stessa mano, che conteneva due piccole fotografie ingiallite, i ritratti del maestro e di sua sorella, somiglianti come due gocce d'acqua, malgrado i baffetti incerati dell'uno, e la pettinatura grottesca dell'altra: gli stessi pomelli scarni che sembravano sporgere fuori della cornice, la stessa linea sottile delle labbra smunte, gli stessi occhi appannati, quasi stanchi di guardare perennemente, dal fondo dell'orbita incavata, lo sbaraglio delle seggiole scompagnate per la scuola...«.
Sono descrizioni analoghe ai tanti ritratti "dal vivo" che l'autore fa spesso nei suoi racconti, senza servirsi di solito di alcun colore oltre ai chiaroscuri, con il risultato di dare maggior risalto sia ai lineamenti che ai sottostanti stati d'animo, come nelle foto d'autore in bianco e nero: «...un vecchio alto e magro, dal viso color di cenere, coi capelli irti e bianchi sulla fronte rugosa...» (da: Un processo); «Un viso delicato e pallido, come appassito precocemente, come velato da un'ombra, dei grandi occhi parlanti, in cui era della febbre, dei capelli morbidi e folti, posati mollemente in un grosso nodo sulla nuca, e il bel fiore carnoso della bocca - la bocca terribile - come dicevano amici e gelosi (da: Carmen).

Un altro significativo indizio dello stretto rapporto tra fotografia e stile letterario in Verga è costituito dal fatto che rileggendo la copiosa produzione di novelle dello scrittore verista, i racconti più carenti di colori sembrano anche quelli caratterizzati da maggiore "impersonalità" e distacco emotivo, che come sappiamo è una delle fondamentali qualità del Verismo. Non solo le più famose novelle della Sicilia rurale, come «Cavalleria rusticana», «La lupa», «L'amante di Gramigna», «La roba», e via dicendo, ma anche altre ambientate nella Milano dei poveri proletari - come «Primavera», «Gelosia», «In Piazza della Scala» - presentano sia un basso numero di sostantivi riguardanti colori che uno spiccato atteggiamento impersonale e distaccato. È possibile - non essendovene alcun cenno nella documentazione a noi rimasta non si può far altro che supporre - che Verga concepisse il principio stilistico dell'impersonalità non solo come mancanza di partecipazione emotiva ed introspezione psicologica dei propri personaggi, ma anche come assenza di colori. E questo sia per analogia col modello realistico ed oggettivo della fotografia, sia perchè la percezione e la presenza dei colori può già implicare di per sè una compartecipazione emotiva del narratore ed una visione soggettiva e personale della storia.

Verga insomma avrebbe scelto di andare nella direzione esattamente opposta a quella delle arti visive dei suoi tempi, anch'esse rivoluzionate indirettamente dalla diffusione del mezzo fotografico. I pittori e gli altri artisti della seconda metà del XIX secolo si avvidero che i quadri che dal Medioevo fino alla loro epoca avevano ritratto fedelmente uomini e paesaggi, erano troppo vicini al modello oggettivo e realistico della fotografia, non solo in senso stilistico ma soprattutto concettuale. Decisero così di adottare uno stile figurativo quanto più personale e soggettivo fosse loro possibile, sia nel senso della percezione della realtà quanto della rappresentazione di uomini e cose. Sorse così in Francia, già patria della fotografia, la prima scuola pittorica moderna ed antitradizionalista, proprio in quanto emotivamente soggettiva, ovvero l'Impressionismo, antesignana di tante altre dell'Ottocento e soprattutto del Novecento.
Sarebbe tuttavia esagerato considerare la quantità di colori citati dal Verga nelle sue novelle e nei suoi romanzi veristi come misura e criterio per stabilire se questo o quell'altro racconto è più o meno verista di altri. Non mancano infatti significative eccezioni, come nel caso della novella Jeli il pastore, che descrivendo la cornice di paesaggi rurali in cui si muovono i protagonisti contiene ben 10 citazioni di rosso, 5 di verde e 2 di azzurro: «...le pendici delle colline verdi di sommacchi, e gli ulivi grigi che si addossavano nella valle come nebbia, e i tetti rossi del casamento, e il campanile "che sembrava un manico di saliera" fra gli aranci del giardino...».
Eppure non si può assolutamente dire che il famoso racconto inserito nella raccolta «Vita dei campi» (1880) non sia una novella verista, considerando anche il drammatico finale nel quale Jeli uccide per gelosia il nobile don Alfonso, insieme al quale da bambino aveva condiviso la sua infanzia scorrazzando sui verdi pascoli. In quel tragico finale - dal sapore analogo a quello di «Cavalleria rusticana» - il narratore è assolutamente distaccato ed impersonale: «Mara si strinse nelle spalle, e se ne andò a ballare. Ella era rossa ed allegra, cogli occhi neri che sembravano due stelle, e rideva che le si vedevano i denti bianchi, e tutto l'oro che aveva indosso le sbatteva e le scintillava sulle guance e sul petto che pareva la Madonna tale e quale. Jeli un tratto si rizzò sulla vita, colla lunga forbice in pugno, così bianco in viso, così bianco come era una volta suo padre il vaccajo, quando tremava dalla febbre accanto al fuoco, nel casolare. Guardò don Alfonso, colla bella barba ricciuta, e la giacchetta di velluto e la catenella d'oro sul panciotto, che prendeva Mara per la mano e l'invitava a ballare; lo vide che allungava il braccio, quasi per stringersela al petto, e lei che lo lasciava fare - allora, Signore perdonategli, non ci vide più, e gli tagliò la gola di un sol colpo, proprio come un capretto. Più tardi, mentre lo conducevano dinanzi al giudice, legato, disfatto, senza che avesse osato opporre la minima resistenza: - Come, - diceva - non dovevo ucciderlo nemmeno?... Se mi aveva preso la Mara!... -».
Tuttavia i molteplici e continui riferimenti da parte dell'autore nel corso del racconto al luogo dov'è ambientata la storia costituisce un particolare significativo per comprendere l'apparente eccezione alla regola, in questa ed anche in altre novelle: «...Il suo amico don Alfonso, mentre era in villeggiatura, andava a trovarlo tutti i giorni che Dio mandava a Tebidi, e dividevano fra di loro i buoni bocconi del padroncino, e il pane d'orzo del pastorello, o le frutta rubate al vicino... poi quando tornò a Tebidi, dopo tanto tempo, spingendosi innanzi adagio adagio le giumente per i viottoli sdrucciolevoli della fontana dello zio Cosimo, andava cercando cogli occhi il ponticello del vallone, e il casolare nella valle del Jacitano, e il tetto delle case grandi, su cui svolazzavano sempre i colombi... "Oh! guarda! è Jeli, il guardiano dei cavalli, quello di Tebidi!"...».
Tebidi era la proprietà dello scrittore nei pressi di Vizzini, dove aveva trascorso la sua infanzia e la sua giovinezza e alla quale rimase legato per tutta la vita. Dunque sicuramente molti suoi ricordi d'infanzia, e annesse emozioni, vennero riversati in questo racconto che di tono verista in senso stretto ha soltanto il finale. I poetici e colorati affreschi dell'ambiente rurale dove si muovono i protagonisti coinvolge dunque personalmente il Verga ed ecco quindi il motivo per cui lascia che la sua penna affondi nella tavolozza come un pennello.

Una situazione analoga è probabilmente anche quella che si ritrova nel finale del romanzo «I Malavoglia» dove il giovane 'Ntoni si ferma un'ultima volta a guardare il mare di Aci Trezza prima di abbandonare il suo paese per sempre: «Allora 'Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Filippo. Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che gli brontolava lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch'ei conosceva, e delle voci che si chiamavano dietro gli usci, e sbatter d'imposte, e dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza, cominciavano a formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luccicavano, e la Puddara che annunziava l'alba, come l'aveva vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto c'era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. - Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta, pensò 'Ntoni, e si accoccolerà sull'uscio a cominciare la sua giornata anche lui. - Tornò a guardare il mare, che s'era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta e disse: - Ora è tempo d'andarmene, perchè fra poco comincierà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu».
Il mare che diventa amaranto al primo sorgere del sole ricorda un altro brano di un altro famoso testo del Verga che non può propriamente definirsi una novella, anche se inserita nella raccolta «Vita dei campi» (1880). Si tratta di Fantasticheria, nel quale Verga ricorda i due giorni passati ad Aci Trezza in compagnia della bella dama lombarda Paolina Greppi Lester: «...In quelle quarantott'ore facemmo tutto ciò che si può fare ad Aci-Trezza: passeggiammo nella polvere della strada, e ci arrampicammo sugli scogli; col pretesto di imparare a remare vi faceste sotto il guanto delle bollicine che rubavano i baci; passammo sul mare una notte romanticissima, gettando le reti tanto per far qualche cosa che a' barcaiuoli potesse parer meritevole di buscarsi dei reumatismi, e l'alba ci sorprese in cima al fariglione - un'alba modesta e pallida, che ho ancora dinanzi agli occhi, striata di larghi riflessi violetti, sul mare di un verde cupo, raccolta come una carezza su quel gruppetto di casucce che dormivano quasi raggomitolate sulla riva, mentre in cima allo scoglio, sul cielo trasparente e limpido, si stampava netta la vostra figurina, colle linee sapienti che vi metteva la vostra sarta, e il profilo fine ed elegante che ci mettevate voi...». Qui e nel seguito del racconto l'autore si lascia andare ad un nostalgico ricordo accompagnato da un moto di simpatia e compartecipazione emotiva per quei luoghi ed i suoi abitanti, nonchè per le storie che sentì raccontare già in quell'occasione e che avrebbero poi originato il suo primo romanzo verista. Di impersonalità e d istacco stilistico ovviamente non vi è neppure l'ombra in questa che non si può neppure definire una novella, tanto meno una novella verista.
Ma il parallelo col finale de I Malavoglia dove probabilmente Verga si identifica con 'Ntoni appare troppo stretto: proprio nelle ultime righe del romanzo l'autore improvvisamente non riesce più a mantenersi distaccato ed impersonale, quasi come se congedandosi dai suoi lettori, si congedasse proprio come 'Ntoni anche dai suoi bei ricordi giovanili e romantici legati al paese di Aci Trezza, dove il mare si riempie dei molti colori del sole e del cielo.

Si può discutere se la parsimonia, fin quasi alla totale mancanza, di colori in quasi tutte le novelle di Verga sia stata oppure no una ricerca voluta e consapevole, legata alle finalità veriste del distacco e dell'impersonalità. Ed alla stessa maniera si può essere d'accordo o meno circa la possibilità che a suggerire allo scrittore questo particolare stile di racconto "in bianco e nero" sia stata la sua passione fotografica, che egli prese a modello, come sin qui si è proposto. Tuttavia è innegabile che nei racconti caratterizzati da maggiore verismo, proprio l'assenza dei colori dona alle storie oltre che maggiore impersonalità anche toni più forti e contrasti più vivi tra i personaggi e il loro ambiente naturale e sociale.
A vantaggio di chi voglia approfondire meglio quest'aspetto, qui di seguito si elencano i titoli di tutte le novelle verghiane con accanto il numero dei nomi di colori più comuni usati dallo scrittore.

Primavera e altri racconti (1877)
Primavera (azzurro = 1; rosso = 2)
La coda del diavolo (rosso = 4)
X (azzurro = 1)
Certi argomenti (azzurro = 1; rosso = 1)
Le storie del castello di Trezza (azzurro = 3; rosso = 3)

Vita dei campi (1880)
Cavalleria rusticana (rosso = 4)
La lupa (verde = 1; rosso = 3)
Nedda (azzurro = 2; giallo = 1; verde = 3; rosso = 10)
Fantasticheria (azzurro = 4; viola = 1; verde = 2)
Jeli il pastore (azzurro = 2; verde = 5; rosso = 10)
Rosso Malpelo (azzurro = 1; turchino = 1; verde = 1; rosso = 7)
L'amante di Gramigna (rosso = 1)
Guerra di santi (giallo = 2)
Pentolaccia (rosso = 1)
Il come, il quando ed il perchè (azzurro = 2; amaranto = 1; verde = 2; rosso = 4)

Novelle rusticane (1883)
Il reverendo (verde = 1)
Cos'è il re (azzurro = 1; verde = 1; rosso = 3)
Don Licciu Papa (verde = 1)
Il mistero (giallo = 4; verde = 1; rosso = 1; celeste = 1)
Malaria (azzurro = 1; giallo = 2; verde = 3)
Gli orfani (rosso = 1)
La roba (verde = 2; rosso = 1)
Storia dell'asino di S. Giuseppe (turchino = 1; giallo = 1; verde = 1; rosso = 2)
Pane nero (turchino = 1; giallo = 4; verde = 4; rosso = 20; celeste = 1)
I galantuomini (verde = 1; rosso = 3)
Libertà (giallo = 2; rosso = 2)
Di là del mare (azzurro = 2; turchino = 2; giallo = 2; verde = 2)

Per le vie (1883)
Il bastione di Monforte (azzurro = 6; verde = 6; rosso = 1)
In Piazza della Scala (rosso = 4)
Al Veglione (turchino = 1; rosso = 6; celeste = 1; rosa = 2)
Il canarino del n. 15 (azzurro = 2; turchino = 1; giallo = 1; rosso = 8; rosa = 2)
Amore senza benda (giallo = 1; rosso = 1; celeste = 1)
Semplice storia (verde = 1; rosso = 3)
L'osteria dei buoni amici (rosso = 4)
Gelosia (rosa = 1)
Camerati (azzurro = 1; verde = 3; rosso = 1; rosa = 1)
Via Crucis (azzurro = 1; verde = 1; rosso = 1)
Conforti (azzurro = 1; giallo = 2; rosso = 2)
L'ultima giornata (azzurro = 1; verde = 3; rosso = 4)

Drammi intimi (1884)
I drammi ignoti (azzurro = 3; rosa = 1)
La barberina di Marcantonio (giallo = 1; verde = 3; rosso = 1)
Tentazione! (verde = 1)
La chiave d'oro ( - )
L'ultima visita (azzurro = 1)

Vagabondaggio (1887)
Vagabondaggio (turchino = 2; giallo = 3; verde = 4; rosso = 10)
Il maestro dei ragazzi (giallo = 1; verde = 3; rosso = 1)
Un processo (roseo = 1)
La festa dei morti (azzurro = 6; giallo = 1; verde = 2; rosso = 1)
Artisti da strapazzo (azzurro = 1; verde = 3; rosso = 9)
Il segno d'amore ( - )
L'agonia di un villaggio (verde = 1)
...E chi vive si dà pace (azzurro = 1; turchino = 2; giallo = 1; verde = 7; rosso = 5)
Il bell'Armando (rosso = 2)
Nanni Volpe (blu = 2; rosso = 3)
Quelli del colera (turchino = 1; giallo = 1; rosso = 1)
Lacrymae rerum (azzurro = 4; verde = 3; celeste = 1; rosa = 1)

I ricordi del Capitano d'Arce (1891)
I ricordi del Capitano d'Arce ( rosso = 2)
Giuramenti di marinaio (azzurro = 2; blu = 1; rosso = 2; rosa = 2)
Commedia da salotto (rosso = 1)
Nè mai, nè sempre! (giallo = 1; rosso = 1)
Carmen (azzurro = 2)
Prima e poi (azzurro = 3; rosso = 1; rosa = 1)
Ciò ch'è in fondo al bicchiere ( - )
Dramma intimo (azzurro = 3; rosa = 2)
Ultima visita (azzurro = 1)
Bollettino sanitario (giallo = 2; verde = 3)

Don Candeloro e C. (1894)
Don Candeloro e C. (verde = 1; rosso = 1)
Le marionette parlanti (turchino = 1; giallo = 1; verde = 1; rosso = 2)
Paggio Fernando (azzurro = 1; verde = 2; rosso = 4)
La serata della diva (rosso = 2)
Il tramonto di Venere (rosso = 1)
Papa Sisto (giallo = 1; verde = 1)
Epopea spicciola ( - )
L'opera del divino amore (giallo = 1)
Il peccato di Donna Santa (rosso = 1)
La vocazione di Suor Agnese (azzurro = 1; verde = 2; rosso = 3)
Gli innamorati (rosso = 1)
Fra le scene della vita (rosso = 3)

Racconti e bozzetti (1880 - 1922)
Un'altra inondazione ( - )
Casamicciola (verde = 2)
I dintorni di Milano (azzurro = 1; verde = 6; rosso = 1)
Nella stalla ( - )
Passato! (azzurro = 1; verde = 2)
Il Carnevale fallo con chi vuoi; Pasqua e Natale falli con i tuoi (rosso = 1)
Carne venduta (Frammento I) (azzurro = 3; rosso = 2)
Olocausto (azzurro = 3; rosso = 1)
La caccia al lupo (giallo = 1; verde = 1)
Frammento II ( - )
Nel carrozzone dei profughi (Fr. III) (giallo = 1)
Frammento IV ( - )
Una capanna e il tuo cuore ( - )

Romanzi veristi: I Malavoglia (azzurro = 1; turchino = 2; verde = 16; giallo = 21; rosso 32; amaranto = 1)
Mastro don Gesualdo ( azzurro = 5; verde = 19; giallo = 27; rosso = 44)

Osservazioni e fonti di riferimento:

Garra Agosta, G. - Verga fotografo - Maimone Editore, Catania, 1991 (Sono riprodotte tutte le fotografie che è stato possibile restaurare e sviluppare a partire dal 1966. I brani delle due lettere a Capuana citate nel testo - quella del 1881 e l'altra del 1884 - sono riprese dalla prefazione di Paolo Mario Sipala al medesimo volume. Si confronti anche l'introduzione - Ministoria di una scoperta - dello stesso autore del volume per le informazioni tecniche sul materiale fotografico).

Nemiz, A. - Capuana, Verga, De Roberto fotografi - Edikronos, Palermo, 1982.

Settimelli, W. - Giovanni Verga fotografo - Ed. Centro Informazioni 3M, 1970.

www.liberliber.it - Contiene i testi scaricabili di tutte le opere di Verga. Su di un campione di esse è stata effettuata la ricerca lessicale sui nomi di colori di base tramite la funzione "trova" di cui è dotato ogni programma di videoscrittura.

Giovanni Verga scrittore fotografo.

È sicuramente interessante inoltre una visita - anche solo virtuale - ai seguenti musei verghiani: Museo Casa del Nespolo (via De Maria 15, Aci Trezza - CT), Casa Museo di Giovanni Verga (Via S. Anna 8, Catania).

(Si ringrazia per l'articolo Ignazio Burgio, di Catania Cultura)
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23/09/2009 | 287066 letture | 0 commenti
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